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Pregi e difetti del Data Journalism

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Per molti il Data Journalism è il cavallo su cui puntare. Pregi: precisione e originalità. Il mix tra matematica, giornalismo ed economia sa di aria fresca ed è un bel compromesso. Meno noioso di un report dell’Istat, più intelligente di una fotogallery sui gatti travestiti da squali. Alcuni siti sull’argomento – come Dataninja, che a Barcellona ha appena vinto il premio per la migliore storia con l’inchiesta #MigrantsFiles – sono interattivi, belli da guardare e da capire.

Tutti salvi? Neanche un po’. Greg Satell scrive su Forbes che il Data Journalism sta fallendo e va ripensato. L’economista e blogger Allison Schrager aggiunge che parlare di dati non significa essere al sicuro dalla parzialità. I giornalisti, ma anche alcuni scienziati sociali, sarebbero molto bravi a trovare i dati a supporto delle loro idee, ma scarsi a confutarle. Numeri e percentuali, scrive Schrager, servono solo a dare autorevolezza a teoria precostituite, e non – piuttosto – a garantire la democrazia dell’informazione.

Prendiamo, scrive Schrager, un argomento come i risparmi delle famiglie americane. Basandosi sui dati del Ministero dell’Economia o sull’inflazione, la conclusione è che gli americani risparmiano di più rispetto al passato. Se però si calcola qual è la percentuale di soldi messi da parte sul salario, il dato è più che dimezzato: gli americani risparmiano solo il 3 per cento di quanto guadagnano, mentre nel 1975 invece la percentuale era del 15.

«La soluzione non è assumere grafici per fare dei bei disegni. Per dare del senso a dati grezzi c’è bisogno di più capacità analitica e maggior indipendenza di quanto non sia stato richiesto, finora, al giornalismo tradizionale», sostiene uno che pure ai dati è parecchio affezionato, l’economista Michael Mandel, Ph.d ad Harvard e corsi a Stanford.

Il problema diventa: ci sono le energie per un giornalismo così indipendente e rigoroso? C’è il tempo?

Torniamo all’inchiesta di Dataninja sui migranti morti nel Mediterraneo o prima ancora di raggiungerlo. Per mettere insieme i dati sono stati raccolti e analizzati due database: quello dell’osservatorio Fortress Europe di Gabriele del Grande e quello della ONG United for Intercultural Action. Il primo contiene 1.634 eventi dal 1988 al 2013, il secondo 2.666, dal 1993 al 2013. La prima mappa interattiva è stata pubblicata dopo 9 mesi sul sito datajournalism.it. «Sapevamo – scrivono sul sito – che non si trattava di un argomento mainstream, che interessasse particolarmente i grandi editori». Il 3 ottobre 2013 muoiono 360 persone nel mare di Lampedusa e a quel punto l’enorme progetto diventa spendibile: il giorno dopo viene pubblicato su Wired.

Il data journalism può essere veramente il cavallo vincente. Perché non si trasformi in un ronzino servono etica, indipendenza ed editori che se ne interessino anche quando la grande tragedia è passata.


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